Ispirati al libro di Jean Cocteau, questi lavori indagano il mondo dell’infanzia, rintracciandone una possibile geografia. Il centro ne diventa la stanza dei giochi con le sue apparizioni e le sue ossessioni.
“E’ meglio avere gli “occhi aperti sul mondo” o, piuttosto, “dormire da svegli un sonno che mette al riparo e restituisce agli oggetti il loro vero significato”? Quest’ultima frase è una citazione tratta dal romanzo I ragazzi terribili, che Jean Cocteau scrisse nel 1929. L’argomento – come è noto – è “la realtà dell’infanzia, realtà grave, eroica, misteriosa, che si alimenta di umili particolari, e la cui magia viene brutalmente dissolta dalle domande degli adulti.”
Nell’affacciarsi all’età adulta dei due fratelli, una femmina e un maschio protagonisti del romanzo, che “si adoravano e si dilaniavano” vi è il filo conduttore dell’intera mostra. La loro stanza di rue Montmartre – codificazione dell’“architettura del disordine” – riflette quel rapporto fraterno morboso e la complicità nel vivere una dimensione fuori dagli schemi del quotidiano, attraversata da meccanismi ossessivi.
“Ancora una volta ingaggiarono una lotta, una lotta per il sublime, e l’equilibro fu ristabilito.”, scrive Cocteau.
Della “stanza degli Enfants Terribles” con l’installazione dei letti (tra elementi reali e proiezione illusoria mediata dalla superficie speculare) è sottolineato il suo aspetto di contenitore del rapporto viscerale che lega l’entourage ristretto dei fratelli. Nella semioscurità del racconto, reso in un certo senso più teatrale dalla scenografica presenza di ritratti fotografici di profilo di bambini in maschera, c’è un’allusione alla dimensione di “isola”, di ambiente isolato, fulcro di forze centripete, che nel romanzo è descritto mediante lo stratagemma della neve. La neve che non è solo aggregazione di minuti cristalli di ghiaccio, ma sinonimo di sostanza stupefacente che, del resto, è strettamente connessa alle vicende biografiche dello scrittore e alla stesura stessa di questo lavoro letterario. Nella “camera astratta, capace di ricrearsi in qualsiasi luogo” si concentrano tutte le tensioni psicologiche, nell’alternarsi di veglia e sogno, totalmente ribaltati rispetto alla consuetudine dei loro stati fisiologici.
Prendendo le distanze dall’epilogo tragico del romanzo, Franco Cenci si concentra, piuttosto, sulla sua dimensione poetica in cui, dietro alle esagerazioni e ai paradossi, s’intuisce la fragilità, la “zona intermedia di smarrimento” dei protagonisti.
“Si sentivano distratti, sviati proprio al margine del sogno. In verità partivano per altri lidi. Rotti all’esercizio che consiste nel proiettarsi fuori di sé, chiamavano distrazione la nuova tappa che li sprofondava in se stessi.
[Manuela De Leonardis]