Opere realizzate con tecniche e materiali diverse – collage su carta, assemblaggio di ferro e legno, stampa digitale su alluminio, tonalità bianche e nere – raccontano un ultimo viaggio, “The Last Flight” [Spazio Y, Roma, ottobre 2016] : a compierlo sono alcuni noti artisti di cui si intercettano solo dati anagrafici e frammenti di capolavori. Non ci sono colori e non c’è traccia di vita. L’ultimo viaggio ha solo apparentemente una destinazione nota. Nessuno atterra: la sospensione nell’aria, la creazione di un vuoto “bianco”, sono l’eredità che questi artisti lasciano ai loro posteri. In dotazione anche il giubbotto con stampata l’opera degli artisti LF.
Ho chiesto a Fabrizio Scrivano di mettere su carta le sue suggestioni a proposito di Last Flight:
Questo è il mio ultimo volo. Non dura molto, appena un attimo, ma è un attimo strano come svuotato di tempo. La cosa ancora più strana è che non mi sento più; cioè, non intendo la voce, quella sì!
Mi sento tanto leggero. Da quassù vi vedo ancora. Le vostre chiome, le vostre chieriche e le vostre tinture. È la prima cosa che noti, la testa; poi la punta dei piedi e il modo di camminare. Siete riconoscibilissimi benché strani.
Sempre saputo di questo volo. Non mi ero mai ricordato di quando fosse iniziato; però ora lo vedo bene l’inizio e so che me lo portavo dentro come una cosa oscura. Così pure l’arrivo, ora vicinissimo e chiaro, era rimasto tutto quel tempo nell’ombra. L’arrivo sbuca improvviso, anche se te lo vai a cercare; buffo! proprio come il T.I.R. che travolge Wile E. Coyote.
Ho in mente una cosa mentre sto volando in questo tempo di non tempo. Per tutta la vita non ho fatto altro che pensare alla vita. Come doveva essere, come avrebbe dovuto essere. Ogni dettaglio scrutato, se piaceva o non piaceva. Ogni evento soppesato, e trattenuto se serviva, scartato se inutile. Ansia di fare della vita la cosa immaginata. Ho vissuto come se un giorno avessi dovuto presentarmi davanti a qualcuno e raccontarla tutta, proprio così come era stata, nella essenza più segreta e nascosta anche a me stesso. Non solo la vita raccontata come si era voluto che sembrasse e fosse ma come si era sentita interiormente.
Ora che sono in volo vedo voi ma vedo anche cose che non ho mai visto. La cosa strana è che le riconosco. E capisco che in realtà non le ho mai guardate. Gli insetti e le foglie, i cani e le persone che sono ancora vivi, i fiumi e i sassi, tutti gli esseri che ho riconosciuto e tutti quelli che ho ignorato. Li vedo tutti e ciascuno. Come dei punti. Come dei punti nel tempo, senza un prima e un dopo, svuotati di ogni memoria, non solcati da alcuna storia.
Non sto parlando dall’eternità. Sto solo rubando un po’ di spazio a questo ultimo istante di tempo. Sono ancora in volo, anche se manca un attimo all’atterraggio. Ancora non so cosa succederà alla fine del volo. So però quel ch’è successo e anche tutto quel ch’è successo ogni giorno. Vedo ciò che ho dimenticato non distinto da tutto ciò che ho sempre conosciuto. E se penso a cosa avrei voluto dire della mia vita, e se guardo a quello che è stata la mia vita, non c’è verso di far collimare le immagini con le parole.
Uno immagina il racconto come una cerniera lampo. E invece da quassù non c’è cerniera che tenga. Tutte le cose da dire sono lì, col loro senso buono e cattivo, intatte e vere. Inappellabili e slegate.
In questo mio volo penso a tutti i tentativi di autobiografia, anche a quelli smozzicati, senza nessun senso, piccoli ruggiti e vaghi rumori, come tentativi di opera, come una forma di arte. Ma è come seguire la scia di un aereo che si dissolve nel vento.
E così mi sembra che l’unica storia della vita è la vita stessa. Una cosa che può essere raccontata solo da altri.