di Arianna Di Genova
Nella bellissima fiaba-opera teatrale che il belga Maurice Maeterlinck compose nel 1905, i piccoli figli di un taglialegna, Tyltyl e Mytyl (i due opposti maschio e femmina, gli junghiani animus e anima) vengono spinti da una vecchia vicina (in realtà, una fata sotto mentite spoglie) alla ricerca dell’uccello azzurro, creatura che porta la felicità, guarisce dalle malattie e fa accadere cose gioiose e giuste. Per rovesciare, il loro stato di miseria i due bambini dovranno affrontare molte prove, incontreranno i loro nonni defunti nel Paese del Ricordo e più volte sfuggiranno alla morte seguendo il principio della Luce. Il loro viaggio iniziatico fra terra e aria, in mezzo al vento e alle scintille delle fiamme, attraverso le tenebre della notte, la paura e il mistero, giardini incantati e l’inverno del cuore, si concluderà con un lieto fine, ma l’uccello azzurro si alzerà in volo, libero e impossibile da domare.
Anche il folklore slavo è abitato da una figura ricorrente come l’uccello di fuoco, animale regale, bellissimo e sfuggente che tutti, compreso il principe Ivan, vogliono acchiappare. L’uccello dalle piume d’oro dei fratelli Grimm lascia invece dietro di sé sparute penne, tracce che invitano, quasi ipnoticamente, alla “caccia”. Ma la bestia magica è rapace, imprendibile e portatrice sia di sventure che di momenti di allegria. Nei processi alchemici, non è raro imbattersi nell’uccello come figura simbolica: d’altronde, è un ambasciatore del cambiamento e un messaggero che vive tra terra e cielo. Migratori, notturni, acquatici, canterini, gli uccelli sono “codici dell’anima”. Possiedono anche una lingua segreta che, secondo gli antichi, era così primitiva da essere intrisa del principio del mondo. Una musica per orecchie capaci di ascoltare, per chi – tra gli umani – avesse conservato intatto il dono dell’armonia con la natura. Gli uccelli sono creature sagge e con le loro traiettorie di volo disegnano il futuro degli uomini. I più audaci risvegliano i morti. Vanno nell’aldilà, abbandonando le vertiginose altezze per vagare nell’oscurità del sottosuolo.
Gli uccelli sanno parlare, cantare, twittare, tubare, ghermire la preda, lanciare l’allarme, salutare il giorno e inventare la notte. Si addobbano in parate nuziali spettacolari, mentono sulla loro identità con un profluvio di colori, volano a fil d’acqua e sopra le nuvole e, con la stessa facilità, quando sono stanchi si posano sugli alberi, i tetti, la sabbia, l’asfalto. Gli uccelli non conoscono la nostalgia. Appartengono a più mondi e in ognuno fanno ritorno, verso sera. Hanno piume soffici che sono fatte della materia dei sogni. E rimangono sempre stranieri sulla terra, abitanti di sconosciute città celesti.